Prima di bruciare vivo il geniale e profondo Vanini, gli strapparono la lingua, perché egli, con essa, aveva bestemmiato Dio. Confesso che, quando leggo simili cose, mi vien voglia di bestemmiare questo Dio.
Arthur Schopenhauer

venerdì 11 giugno 2010

The Casualties - On the Front Line (2004)

Ancora un ripescaggio dalla produzione pro-Audiolesi. Questa volta è il turno di una sentita critica al manierismo hardcore di bassa lega.

Partiamo da un presupposto: tutti i miei gusti musicali sono nati dall'hardcore punk, quello politicizzato, assolutamente aggressivo e spesso lo-fi.
Detto ciò vi presento un disco per la serie "Bella Cacata". Di chi sto per parlare? Dei Casualties, ovviamente!
I Casualties, che tanto piacciono a quei punkettoni sfegatati dell'ultima ora, quelli che al di sotto dei 140 bpm credono esista solo l'oblio, sono una band newyorkese che suona streetpunk... cioè, così si dice da ormai vent'anni.
Quello che sento io è un hardcore rockandrolleggiante trito e ritrito a cui non solo non si aggiunge nulla di nuovo, ma neppure gli si toglie niente. Io non riesco proprio a spiegarmi come facciano a piacere. La loro unica mossa è stata quella di prendere le sonorità dell'hc ottantone, legarlo alle melodie più tipiche dei '90 e commercializzarlo, pubblicizzarlo, svenderlo.
On the Front Line è un album del 2004, si dice tra i meglio riusciti... pensa te! I testi sono quelli canonici: "fanculo Stato, la guerra è una merda, ribelliamoci, evviva l'anarchia". Cioè, ragazzi, voi volete imporvi così senza un briciolo di individualità e ok, può anche andarmi bene. Però magari cercate anche di motivare quei motti del cazzo ché ormai dopo trent'anni c'hanno triturato i coglioni. Musicalmente, invece, ricordate il Self Titled che i Rancid rilasciarono nel 2000? Ecco, scarnificatelo dall'abilità tecnica e unitelo all'attitudine degli Exploited (altra band su cui ci sarebbe molto da ridire), ma non quelli migliori di Let's Start a War, facciamo di quelli più tendenti alla mediocrità come in Troops of Tomorrow. Bene, così ci siamo! Questo è On the Front Line dei Casualties.
In breve: mentre un motto ragionato racchiude un pensiero ben più articolato, un motto alla Casualties racchiude il concetto secondo cui "vi piscio addosso perché sono punk e c'ho le borchie". Imparate l'umiltà, per dio! Imparate dai Minor Threath, dai Dead Kennedys, dai Vegan Reich.
A tutti gli amanti di questo gruppo voglio ricordare che l'hardcore non è tutto cresta, spillette, chiodo e borchie.
L'hardcore è un ideale vastissimo che pochi gruppi hanno interpretato appieno, è contenuto, solidarietà, rabbia comportata, reazione e ricerca di soluzioni. I Casualties, invece, sono ciò che rimane dell'hc quando l'hai spogliato dalle sue peculiarità.

Tracklist

1. Casualties Army
2. On The Front Line
3. Leaders Of Todays
4. Criminal Class
5. Tomorrow Belongs To Us
6. Unknown Soldier
7. Scarred For Life
8. Static Feedback And Noise
9. Media Control
10. Death Toll
11. Tragedy
12. Brainwashed
13. Sounds From The Streets
14. We Don't Need You

mercoledì 9 giugno 2010

Current 93 - Lucifer Over London (1994)

Secondo appuntamento con una recensione pescata a caso tra quelle già pubblicate per l'Audiopost@.

Oggi si parla di musica esoterica o apocalyptic folk, che dir si voglia.
Scrivere dei Current 93 non è affatto cosa semplice perché, come voi crowleyani certamente saprete, l'architetto del collettivo in questione, ossia David Tibet, porta con sé un bagaglio culturale che trasborda esoterismo e religioni da tutte le fessure. Ma mi farò io carico di questo peso, non perché me ne senta particolarmente capace, piuttosto perché nell'ultimo mese ci sto in fissa a mille.
Ora però cerchiamo di fare un po' di luce sulla questione.
La Corrente 93, da cui Tibet ha deliberatamente preso il nome, è la denominazione che Aleister Crowley dava alla sua dottrina, la quale fondeva satanismo, magia, massoneria, esoterismo, sesso rituale ed occultismo di vario genere. David Tibet, affascinato da tale dottrina, stende testi basati su tali temi occupandosi, a sua volta, di vita, morte e apocalisse (no, stavolta niente miracoli) richiamando di continuo il simbolismo occulto.
Anche dal punto di vista meramente musicale è un personaggio che s'è tenuto sempre attivo. In principio era industrial ("in principio era Pravda: Parola-Verità, Parola-Verità!"), ma si sa che le vie dell'industrial sono infinite; tant'è che presto arrivarono sintesi minimaliste dalla durata considerevole: a tal proposito voglio ricordare In Mestrual Night, un album composto da tre tracce dalla durata aliena di 52 e rotti minuti. Nel 1987, invece, lo stile folk ebbe il sopravvento stillando, forse, la vena più caratteristica ed originale del progetto che nel 1992 promulgò la propria pietra filosofale: Thunder Perfect Mind.
Quello che invece oggi è oggetto di recensione, fu inciso nel 1994 e, come fanno intendere le note di Paranoid dei Black Sabbath sull'intro del primo pezzo, è un disco più rockeggiante ed aggressivo.
Anche questo ep (e chiamiamola ep una registrazione che dura mezzora...!) è composto da una triade, tre fasi di un cambiamento profondo: l'alllontanamento dalla filosofia luciferina; lo smarrimento e l'avvilimento causato dall'assenza di punti di riferimento; l'approccio - forse in senso lato - al cristianesimo esoterico.
Oltre a lasciar trasparire, come già detto, una componente più aggressiva rispetto ai lavori precedenti, Lucifer Over London è anche una transizione particolarmente sofferta in cui vengono descritti scenari impressionanti e talvolta toccanti.
Tra pesci dorati e bambini in decomposizione dalla testa di cavallo, preparatevi ad un viaggio che cambierà il vostro modo di sentire.
Inchinatevi di fronte al genio malefico di David Tibet; amatelo o perite.

P.s. - Giusto in questi giorni ho letto che nell'ultimo album dei Current, David Tibet si è avvalso della collaborazione di un personaggio alquanto insolito, vale a dire Sasha Grey. Chi è Sasha Grey? Digitatene il nome su Google, capirete in fretta. Vi consiglio di visionare anche questo video.


Tracklist

1. Lucifer Over London Parts I & II (7:48)
2. Sad Go Round (5:46)
3. The Seven Seals Are Revealed At The End Of Time As Seven Bows: The Bloodbow, The Pissbow, The Painbow, The Faminebow, The Deathbow, The Angerbow, The Hohohobow (13:40)

martedì 8 giugno 2010

Lovecraft e il danno a lui provocato per sfruttmento di luoghi comuni

Sono uno a cui i luoghi comuni e le frasi fatte hanno sempre suscitato un certo fastidio, soprattutto perché concernono la preclusione di verifiche soggettive ed indipendenti in beneficio di banali giudizi aprioristici. Di luoghi comuni potrei citarne a decine di dozzine, ma ce n'è uno solo che al momento voglio infrangere, vale a dire: "un libro non si giudica dalla copertina".
Per certi versi è vero, una copertina è scindibile dal valore del testo ivi contenuto ma, per quanto sia un'asserzione che su carta detiene una certa dignità, è proprio sullo stesso supporto (ora non più figurativo) che trova riscontro di scelte editoriali che possono compromettere il lavoro sinergico del rapporto copertina/testo.
Esempio di tale malfunzionamento è Tutti i romanzi e i racconti di Howard Phillips Lovecraft.
Il nome di Lovecraft suscita tensioni ataviche che si cristallizzano negli scenari da lui descritti su cui si muovono entità ancestrali capostipiti, precursori o, addirittura, creatori di tutte le specie biologiche presenti sulla terra; un iter fantascientifico che, con il pretesto della scoperta archeologica, accresce la conoscienza fino a stravolgere totalmente la concezione che ha l'uomo della sua natura determinando, così, un orrore puro che, se non provoca la morte, porta alla pazzia.
Ora mi domando: come può una copertina raffigurante un ritratto caricaturistico (quindi comico) dell'autore riproporre l'oscurità propria delle tematiche da egli affrontate? Di sicuro non sfruttando uno sfondo nero!
La Newton Compton è una casa editrice che pubblica scritti di qualità a prezzi contenuti (cosa che non si può dire di tutti), ma nonostante il già citato Tutti i romanzi e tutti i racconti sia offerto a poco meno di 25 euro - prezzo in verità invitante, dato che si tratta dell'intera bibliografia -, dopo averci rimuginato su a lungo, infine optai per Le montagne della follia della stessa casa editrice. La copertina era più adatta.
Gli altri testi di H. P. li comprerò con calma.

P.s. L'ideatore grafico della raccolta lovecraftiana meriterebbe quantomeno una denuncia.

lunedì 7 giugno 2010

Gorgoroth - Incipit Satan (2000)

Ho deciso di riproporre anche sul mio blog le recensioni che nei mesi scorsi ho scritto per Audiolesi (e conto ancora di scriverne di nuove); tra l'altro questa dei Gorgoroth Blogger l'ha anche eliminata... e va be'!

Continuo a cavalcare l'onda old-school black metal varata da xandreax citando in giudizio un'altra band norvegese legata al già segnalato Burzum: i Gorgoroth.
Il black metal, signori miei, è per il metal ciò che l'emo (nell'accezione più attuale del termine) è per l'hardcore, ossia il fratello sfigato che si rinnega perché ritenuto motivo di imbarazzo. Tuttavia, seppur mai mi troverete a recensire i My Chemical Romance, io tendo a prendere le difese di Caino. Non so se in realtà esiste attrito tra il metallaro medio e il black metal, ma le differenze ci sono eccome; mentre il metallaro vanta virtuosismi a go-go e/o velocità fantascientifiche, il metallaro nero non tiene affatto conto della tecnica affinché ne giova il contenuto e anche se suona sedicesimi non offre mai un senso di reale dinamicità. Inoltre il metallaro nero per supportare coerentemente tali tesi le avvalora di un sound prevalentemente rough, quindi, più che ai suoi capostipiti heavy, per attitudine è affine alla concezione dei punks '77.
Considerato il contesto, bisogna ammettere che i Gorgoroth sono un vero e proprio baluardo di questa sorta di movimento. I testi della band non sono mai stati resi pubblici perché gli autori ritengono che il messaggio debba arrivare esclusivamente a chi è pronto ad accoglierlo, quindi da un punto di vista ontologico possono essere considerati dei puristi/fondamentalisti (negli anni '90 l'ex cantante Gaahl - gay, vegetariano, pittore, torturatore freelance - fu anche coinvolto nel caso delle chiese cattoliche incendiate per dolo); dal punto di vista pragmatico, invece, hanno inserito, sia pure timidamente, delle "nuove" influenze derivate dal noise e l'industrial che spiccano in intervalli più che nell'amalgama della composizione.
Per quanto non sia di certo uno dei miei gruppi preferiti, devo ammettere però che Incipit Satan (l'unico loro album che ho ascoltato) me lo concedo volentieri, soprattutto quando non riesco a prendere sonno. Metto le cuffie, mi faccio qualche risata ascoltando gli arrangiamenti incredibilmente divertenti (vedi anche: goffi) e la batteria spesso insicura, e alla quarta o quinta canzone sto già dormendo.
Sulle tracce non ci sono molte cose da annotare - sentito un pezzo black metal, li hai sentiti quasi tutti, fatta eccezione per i progressisti - se non alcune particolarità. Ho trovato molto gradevoli i suddetti intermezzi ambient degni di un film horror (talvolta conditi con consueti versi rovesciati) e soprattutto l'ultimo pezzo, "When love rages wild in my heart", una proposta davvero insolita con una voce che ricorda a tratti la profondità vocale di Ian Curtis, per quanto la canzone pecchi del solito impaccio compositivo. E anche se sollecitano più sorrisi che ansie, senza alcun dubbio a loro spetta il Premio Simpatia.

Tracklist:
1. Incipit Satan 04:33
2. A World to Win 03:43
3. Litani til Satan 04:33
4. Unchain My Heart!!! 04:47
5. An Excerpt of X 05:50
6. Ein Eim av Blod og Helvetesild 03:09
7. Will to Power 04:28
8. When Love Rages Wild in My Heart 05:43

Eufemismi



lunedì 24 maggio 2010

Danni sociali e problemi morali dell'alimentazione - Parte II

Il problema morale

L'epoca che abbiamo definito come epoca d'oro offriva in abbondanza i frutti degli alberi e le erbe che la terra ha fatto crescere e la bocca degli uomini non era imbrattata di sangue. In quei tempi gli uccelli muovevano le loro ali al sicuro nell'aria e la lepre attraversava il campo senza timore. Il pesce non era la vittima innocente dell'uomo. Ogni luogo era libero dal tradimento; non regnava alcuna ingiustizia – tutto era colmo di pace. Nei tempi successivi un portatore del male cominciò a disprezzare e sminuire questo cibo semplice e puro e nella sua vorace follia cominciò a ingoiare cibi basati su cadaveri di animali. Così facendo, aprì la via al male. Ovidio (43 - 18 a. C.)

Assunto, nel precedente paragrafo, che l'alimentazione a base di carne sia inutile e talvolta anche dannosa per l'organismo umano e che tale consumo sia un massacro quotidiano di creature senzienti, quindi soggette a paura e dolore, è essenziale capire come ciò avvenga.
Proprio come accadeva secoli fa nelle colonie (e tuttavia ancora oggi accade per mano delle corporations che sfruttano la cosiddetta forza-lavoro locale di paesi in via sviluppo, quindi ancora poveri), dove gli europei vessavano i popoli indigeni (africani, popolazioni sud e centroamericane, ecc.) sfruttandoli mediante speculazioni razziste, oggi l'animale viene letteralmente annichilito da un sistema di vita estraneo ad ogni legge naturale e poi utilizzato come merce o prodotto di vario consumo: cibo, vestiario (pellicce, giacche, scarpe, ecc.), accessori (borse, bracciali, occhiali, ecc.), divertimento (zoo, circo), compagnia domestica. La pubblicità che insinua tali prodotti nel mercato – mi riferisco in particolare ai prodotti alimentari – quasi sempre tende a vantarsi di come gli animali, prima di entrare nel piatto del consumatore, abbiano condotto una vita sana e in libertà. Ma tali affermazioni non trovano affatto riscontro sulle quantità “industriali” di carne esposte in qualunque macelleria o supermercato del nostro emisfero perché, difatti, per produrre quantità industriali è necessario disporre di industrie che effettuino allevamenti intensivi.
Premesso che non intendo in alcun modo prendere le difese degli allevamenti tradizionali o biologici (come vengono ipocritamente riproposti oggi, cambiando nomenclatura per ingannare perfidamente il consumatore), vediamo cosa accade in un allevamento intensivo, ché, ovviamente, è la forma di allevamento che produce la maggiore quantità delle carni in commercio. Innanzitutto l'animale allevato in maniera intensiva non ha mai visto un pascolo ma vive in box sovraffollati o chiuso in una gabbia in cui lo spazio vitale è ridotto al minimo indispensabile (ossia lo spazio che consente di stare in piedi o sdraiato: altri movimenti sono impraticabili) ed è, quasi sempre, stazionato sul cemento (caso che suscita ulteriori disagi); spesso viene alimentato forzatamente con mangime mescolato a sostanze chimiche come appetizzanti ed ormoni che velocizzino la crescita, nonché antibiotici che limitino le infezioni, altrimenti facilmente riscontrabili, a causa della scarsa igiene dell'ambiente in cui vive; la sua vita può avere una durata da un minimo di sei mesi circa ad un massimo di ventiquattro; per risparmiare tempo, viene sgozzato o macellato (nel caso dei pulcini) quando è ancora cosciente. Questo è un quadro generale; in realtà ogni specie animale viene trattata in maniera differente a seconda del prodotto finale da ottenere (carni rosse, carni bianche, latte, uova, ecc.), ma sempre con la stessa ingiustificabile crudeltà. [Per approfondimenti, suggerisco la lettura di La realtà negli allevamenti intensivi, articolo ben dettagliato che rivela crudeltà persino maggiori.]
Ora prendiamo, come esempio, una ricca signora che ama decorare il suo corpo con gioielli e pietre preziose: raramente questa signora si chiede da dove arrivi quel diamante, raramente si interessa dell'operaio che, scavando, è morto nelle miniere per ottenere in cambio uno stipendio da infami; magari, in caso venga a conoscenza di tale prassi, storce il naso augurandosi di sgomberare in fretta la mente da simili pensieri per poter godere con coscienza nuovamente “vergine” della bellezza della pietra. Allo stesso modo chi si gusta la sua bella bistecca non riflette quasi mai sull'origine del suo pasto ed ignora, per lo più, la violenza occultata e camuffata dalla pubblicità, fuggendo così dalle proprie responsabilità in favore di una colpevole inconsapevolezza. Tuttavia qui non si ritiene crimine il solo maltrattamento, ma si accusa aprioristicamente colui che chiude in gabbia un essere nato libero e si considera che la società umana debba essere obbligata a liberare gli animali affinché si reintegrino nella loro società originale che per diritto naturale gli appartiene; un diritto che l'uomo, con la sua deviazione dominatrice, non ha rispettato invadendo e stuprando le società differenti dalla sua. Le conseguenze di questo atteggiamento, che pretende di poter piegare la natura alle sue voglie, non ha determinato solo sofferenza e paura nel bestiame e problemi di salute per la specie umana, ma anche altre inevitabili piaghe che sono i risultati di una serie di azioni indiscutibilmente sbagliate che danneggiano l'intero pianeta.


L'impatto sull'ambiente

Alla sua alba, l'uomo contemplava e temeva la natura vivendo con essa un rapporto più o meno simbiotico, poi l'ingegno lo portò a modificare il territorio su cui si stazionava e cominciò a prelevare materiali (pietre, marmi, ecc.) dalla terra per donargli una nuova forma e costruire case ed edifici; in seguito, dalla prima rivoluzione industriale in avanti, l'uomo s'illuse di poter dominare sulla natura e col tempo giunse a sottrarre alla terra anche metalli e combustibili fossili a ritmi vertiginosi, rovesciando poi i rifiuti liquidi nelle acque e sotterrando quelli solidi. Già durante il Romanticismo le menti più acute si resero conto dell'imparzialità, talvolta anche violenta, della natura che col vento, i terremoti, le lunghe piogge o le siccità prolungate potrebbe estinguere la razza umana e lasciare che il tempo la dimentichi.
Oggi più che mai questo timore dovrebbe far tremare l'intera popolazione mondiale, eppure l'abitudinarietà insita nello stile di vita attuale, così radicato nelle popolazioni dei nostri paesi ormai postindustriali, non trova governo e non trova legge che davvero si preoccupi di proporre serie alternative per tentare di riassestare la situazione globale. Ma ciò non deve stupire, in quanto la nostra economia è totalmente basata sul consumismo, ossia: prendi, usa, getta. Anche se recentemente può sembrare che questo problema sia stato preso in considerazione, in verità tutto appare come una farsa. Purtroppo questo è un dramma dalle mille sfaccettature e le cose da dire in proposito potrebbero essere infinite quindi, per brevità, mi attengo al tema principale dello sfruttamento animale illustrando un solo esempio, cioè quello del rapporto carta/deforestazione. È da circa un decennio che il riciclaggio della carta è stato largamente diffuso (quantomeno in Italia) perché, a quanto è stato sempre sostenuto, la produzione di questo articolo richiede eccessive quantità di alberi da abbattere, elemento che costituirebbe un grave danno per l'ecosistema. Ma resta un confronto da fare che riguarda un altro elemento che non solo la pubblicità ma, più generalmente, tutti i media tendono a celare: l'elevato tasso di inquinamento che gli allevamenti producono.

Ogni anno scompaiono 17 milioni di ettari di foreste tropicali. L'allevamento intensivo non ne è la sola causa, ma sicuramente gioca un ruolo primario: nella foresta Amazzonica l'88% dei terreni disboscati è stato adibito a pascolo e circa il 70 % delle zone disboscate del Costa Rica e del Panama sono state trasformate in pascoli. A partire dal 1960, in Brasile, Bolivia, Colombia, America Centrale sono stati bruciati o rasi al suolo decine di milioni di ettari di foresta, oltre un quarto dell'intera estensione delle foreste centroamericane, per far posto a pascoli per bovini. Per dare un'idea delle dimensioni del problema, si pensi che ogni hamburger importato dall'America Centrale comporta l'abbattimento e la trasformazione a pascolo di sei metri quadrati di foresta.
Paradossalmente, questa terra non è affatto adatta al pascolo: nell'ecosistema tropicale lo strato superficiale del suolo contiene poco nutrimento, ed è molto sottile e fragile. Dopo pochi anni di pascolo il suolo diventa sterile, e gli allevatori passano ad abbattere un'altra regione di foresta. Gli alberi abbattuti non vengono commercializzati, risulta più conveniente bruciarli sul posto.
[Fonte]

Ma, ovviamente, questo non è che uno dei molti danni che causa l'allevamento. Bisogna considerare anche che la coltivazione dei campi destinati all'allevamento prevede l'utilizzo di prodotti chimici (fertilizzanti, pesticidi ed erbicidi) che inquinano il suolo, basti pensare che tra i paesi che più ne abusano ritroviamo Giappone, Gran Bretagna e Germania in cui, mediamente, ne vengono usati 300 kg per ogni ettaro. Inoltre se prendiamo atto del fatto che una sola mucca da latte arrivi a bere fino a 200 litri d'acqua al giorno, 50 litri un bovino o cavallo, 20 litri un maiale e 10 una pecora, moltiplicando i litri bevuti singolarmente per il numero medio di animali presenti in un allevamento, otteniamo delle cifre decisamente alte o perfino spaventose, considerando tutti gli allevamenti, industriali e non, presenti sul pianeta. Difatti, non di rado, quando un allevamento si sposta verso nuove terre da sfruttare lascia fiumi trasformati in ruscelli e terreni desertificati dalla sovrapproduzione vegetale e dalle deiezioni e liquami che non funzionano come concime perché gli animali, mal nutriti, producono rifiuti a basso contenuto organico che, penetrando nel terreno, vanno ad inquinare le falde acquifere.
Devastando la terra ettaro dopo ettaro, per quanti anni ancora possiamo restare in bilico e sperare che tutto si risolva da sé?

[Per approfondimenti, consiglio la lettura di due articoli che affrontano lo stesso problema da differenti punti di vista: Proposta: tassiamo il consumo di carne; Se il pianeta muore di bistecca.]


Qui i paragrafi precedenti.

giovedì 29 aprile 2010

in breve #6 - caro diario...

Mi domandavo perché?
Se un vegetariano sceglie di non infliggere inutile dolore al prossimo, allora perché i cosiddetti "onnivori" pretendono sempre delle giustificazioni?

Sempre - confusamente - tuo.