Per ovviare alla mia pigrizia di aggiornamento blog, sindrome che - impietosa - ormai colpisce senza remore molte migliaia di giovani occidentali, mi appresto a coniare un nuovo angolino in cui riportare allegramente scritti altrui che avrei voluto scrivere io, ma che non ho fatto perché sono uno sfigato.
Colui che ho scelto per aprire l'angolino, è il già citato Sdrammaturgo, che trovate in forma estesa qui.
Sono convinto che la Champions League sia stata inventata per evitare che la gente si suicidi.
Mi metto nei panni di chi ha una vita assolutamente insoddisfacente, un lavoro malpagato, un ritardo negli studi, una vita sentimentale disastrosa ed ha fallito il fallibile (li ho indossati nel millenovecentottantatré e non li ho ancora tolti). Ecco, in casi come questi (cioè la maggior parte degli individui in ogni parte del mondo) è quantomai logico e razionale chiedersi: “Perché mi ostino a campare? Non sarebbe più opportuna una sapiente impiccagione?”. Ed è lì che interviene la Champions League. Uno infatti pensa: “Ma che mi ammazzo a fare? Mercoledì c’è la Champions, metti che Messi fa un goal dopo una serpentina, che faccio, me lo perdo?”. Una volta giunto il mercoledì di Champions, è naturale conseguenza riflettere: “Beh, ora che ho visto l’andata, non posso certo ammazzarmi e perdermi il ritorno. Metti che poi Sneijder la piazza nell’angolino dalla distanza o pesca Milito con un lancio da trenta metri”. Di partita in partita, il suicidio continua ad essere rimandato: “Sono arrivato fino a qui, non posso perdermi i quarti di finale. E la semifinale?”. E così via. E neanche dopo la finale uno si ammazza, perché si dice: “Beh, tra pochi mesi comincia la nuova edizione della Champions: nuove squadre, nuove formazioni. Magari saltano fuori abbinamenti e partitoni ancor più avvincenti del solito, se mi ammazzo potrei pentirmene. Va bene, posticipo il suicidio alla prossima riforma delle coppe”.
Il campionato non assolve allo stesso scopo: troppo lungo, la noia dei pareggi, il tedio incomparabile di un’interminabile classifica a punti senza eliminazioni…E partite come Chievo-Livorno fanno venir voglia di essere seguite dall’interno dell’abitacolo di un’autovettura deodorato con monossido di carbonio.
Neppure Mondiali ed Europei sono utili in funzione anti-suicidio. Anzi, sono dannosi: tragicamente brevi e solo una volta ogni due anni, uno fa in tempo a dimenticarsene e disperarsi per l’attesa che lo attenderà. Quindi facile che dopo la finale uno si spara una revolverata nelle orecchie (perché sempre nelle tempie? Nelle orecchie sarebbe più originale. Tanto sempre al cervello arriva. Non c’è niente di peggio della banalità nei suicidi). Specie se in finale c’è arrivata la Germania.
Sì, la Champions League è stata una geniale invenzione salvavita in un’ottica economica. Proviamo infatti a pensare cosa accadrebbe con un cospicuo e sacrosanto aumento del numero dei suicidi. Innanzitutto, un brusco e gigantesco calo della manodopera internazionale. Inoltre, quando uno si toglie la vita, lascia sempre qualche amico o parente nella depressione, e si sa che la depressione è la peggior nemica della produttività. Quando uno è depresso lavora poco e male, il suo rendimento non è più lo stesso, non gli interessa più alcunché, dunque consuma anche molto meno.
Senza la Champions League, quindi, ne beneficerebbero solo le lobby dei becchini, degli psichiatri e dei farmacisti, cosa che agli altri industriali proprio non andrebbe giù.
E poi si dice che i calciatori guadagnino troppo…Voglio dire, salvano delle vite umane! Guadagnano anche troppo poco per quello che fanno – quelli bravi, si capisce. Io ad esempio ho imparato a fare il nodo scorsoio la prima volta che ho visto giocare Iaquinta.
Eh sì, senza la Champions League molte persone prenderebbero sicuramente decisioni più sagge.
Che diamine, la vita è una fatica inutile. Non ci vuole Albert Camus per capire che la vita non ha alcun senso (eccetto quella di Hugh Hefner) – mi rendo conto che un cattolico a questo punto avrebbe bisogno di puntualizzare: “Aspetta: cosa intendi per vita? Quando comincia la vita? E quando finisce la vita? L’embrione è vita?”. E’ bene dunque precisare: considero vita quella che va dalla nascita alla prima serata di Rai Uno.
Ritengo che la vita sia solo un ostacolo alla morte. E la morte è la più valida alternativa al lavoro (e per lavoro intendo anche l’amore. Qualcuno obietterà: “Cazzo c’entra???”. Mi spiego: l’amore è la forma più perfetta di lavoro: richiede un impegno costante e quotidiano, non si viene retribuiti ed alla fine si viene puntualmente licenziati).
Secondo me chi teme la morte è perché non ha lavorato abbastanza.
Avete presente quando la mattina suona la sveglia e si pensa: “Uff, quanto vorrei rimanere a letto un altro po’”? Da morto puoi farlo!
Oltretutto, la morte è anche un’ottima scusa per evitare i pranzi con i parenti (per le feste mondane, invece, una paralisi è più che sufficiente: “Sabato sera ci vieni all’aperitivo in quel locale trendy rock? Suona quella band indie inglese dove tutti hanno le frange e sono ben vestiti, si balla tutta la notte, ci sarà da divertirsi, ci siamo proprio tutti!” “Mi spiace, non posso, sono paralizzato”).
E da morto non hai più a che fare con la prima serata di Rai Uno.
E non sono solo i grandi dolori come i lutti, le malattie, la perdita del grande amore, la prima serata di Rai Uno, a rendere insopportabile la vita. La vita è disseminata di una miriade di minuscole immense sofferenze. Penso ad esempio al dramma di chi vorrebbe ballare la salsa ma non il merengue.
Sapete quale sarebbe una vera sciagura? La donna che ti ha lasciato e di cui hai sempre desiderato il ritorno più di qualsiasi altra cosa al mondo che decide di rimettersi con te la sera della finale della Champions League. A quel punto cosa fai? Come ti comporti? Da una parte c’è tutto ciò di cui hai bisogno per star davvero bene, ma dall’altra parte c’è la donna della tua vita! Ah, no, scusate, ho fatto confusione, volevo dire: da una parte c’è tutto ciò di cui hai bisogno per star davvero bene, ma dall’altra parte c’è la finale di Champions League! Panico.
Oppure se, sempre quella donna senza la quale la tua vita è ridotta a mera svogliata sopravvivenza, ti invita inaspettatamente in un pub per chiarirvi e tentare una riconciliazione e, una volta seduto al tavolo tutto trepidante e commosso, ti accorgi con sgomento che sullo schermo alle sue spalle stanno trasmettendo i più bei goal di Fernando Torres. Terrore. Orrore. Inizi a sudare freddo. Ti ripeti tra te e te forsennatamente ed ossessivamente: “No, no, no. Resisti, non farlo, non farlo”. Tu vorresti dedicarti solo a lei, tu vuoi realmente dedicarti solo a lei, dimostrarle che ha, ha sempre avuto e sempre avrà tutta la tua attenzione e tutte le tue attenzioni, perché lei è tutto per te, è il tuo respiro ed il battito del tuo cuore, è la tua alba ed il tuo tramonto, è il tuo principio e la tua fine; ma qualcosa che trascende inesorabilmente la tua volontà e che non puoi combattere in alcun modo per quanto tu possa sforzarti (e lo fai, cerchi di farlo con tutto te stesso) ti spinge fisiologicamente a distrarti dai suoi occhi lucidi di pianto - che pure ti fanno palpitare come non mai - su quella palla scagliata con potenza e precisione da fuori area che lambisce ossimoricamente delicata l'incrocio dei pali e si insacca meravigliosamente proprio sotto al sette. E proprio mentre lei ti sta urlando addosso che sei rimasto il solito mostro e che ha fatto bene a lasciarti e che non cambierai mai e si alza e ti manda a fanculo e se ne va una volta per tutte, per sempre. Ed ha perfettamente ragione.
Il guaio di nascere uomo è che inscritto nel cromosoma Y hai l’irresistibile impulso di vedere la fine di un’azione. Se un uomo passa con la macchina davanti ad un campetto di periferia dove si sta giocando una partitella senza pretese, piuttosto rischierebbe un incidente stradale pur di non perdersi l’esito dello scambio di passaggi sotto porta in corso.
Mah, comunque, la vita ci pone davanti ogni giorno infiniti interrogativi destinati a restare insoluti. Qualche giorno fa, per esempio, giocando a pallone con due amici in un campetto di quartiere, mi chiedevo: “Perché la gente si fa una famiglia?”.
Cesare Pavese oggi non si ucciderebbe più. Guarderebbe Barcellona-Inter. E prima e dopo penserebbe: “Che vita di merda”. Un po’ anche durante, ma meno.
Prima di bruciare vivo il geniale e profondo Vanini, gli strapparono la lingua, perché egli, con essa, aveva bestemmiato Dio. Confesso che, quando leggo simili cose, mi vien voglia di bestemmiare questo Dio. Arthur Schopenhauer
venerdì 25 giugno 2010
giovedì 24 giugno 2010
Hot Chip - The Warning (2006)
Aridanghete! Altra recensione audiolesa, in attesa di nuovi scritti. Sto coltivando.
Prendiamo una giornata di merda, una di quelle giornate in cui ti svegli pronto per andare a dormire, con l'umore più che storto e senza che nulla ti faccia presagire qualcosa di buono.
Mettiamo che bevi il caffè: ti andrà di traverso.
Mettiamo che pucci la brioche nel latte di soia: avrai aspettato troppo per tirarla su e si spezzerà cadendo nella tazza spruzzandone il contenuto sul tavolo, sui vestiti e nei tuoi occhi.
Prendiamo una giornata di merda, una di quelle giornate in cui ti svegli pronto per andare a dormire, con l'umore più che storto e senza che nulla ti faccia presagire qualcosa di buono.
Mettiamo che bevi il caffè: ti andrà di traverso.
Mettiamo che pucci la brioche nel latte di soia: avrai aspettato troppo per tirarla su e si spezzerà cadendo nella tazza spruzzandone il contenuto sul tavolo, sui vestiti e nei tuoi occhi.
È inevitabile, rassegnatevi. In queste giornate non c'è che da sperare di essere risucchiati da un buco nero. Ma la vera tragedia è che questo non accadrà.
Come rimediare, quindi? Come attutire l'impatto con siffatta aurea negativa?
Semplice: ascoltando "The Warning" degli Hot Chip.
Quello di cui scrivo è un disco decisamente mattutino perché non impegnativo (nonostante qualche velo di malinconia) e piuttosto "di atmosfera" (nonostante qualche pezzo moderatamente tamarro). Si tratta di musica elettronica piuttosto pop; ascoltandoli si ha come l'impressione di aver trovato il punto d'incontro tra i Notwist e i Kings of Convenience, con qualche spruzzata di una qualunque (nonché presunta) "indie band" che va di moda su Mtv. L'atmosfera festaiola si amalgama con quella più intimistica senza stonare, senza esagerazioni.
Qualche nota a sfavore, tuttavia, ce l'ho.
Sulla prima traccia, il bridge che media tra le strofe, ricorda fin troppo sfacciatamente l'intro di Born Slippy degli Underworld, ed io non l'ho colto come una semplice citazione, però devo dire che, nel contesto, ci sta.
La seconda traccia fa eco al campionamento di quel famoso pezzo, Music sounds better with you degli Sturdust, ve lo ricordate?
L'intro della sesta traccia, invece - e qua probabilmente sfioro la paranoia -, richiama la parte finale della bellissima I want you (ascoltate dal minuto 6:50) della bellissima Erykah Badu. Ma forse esagero. Sono un complottista, che ci volete fare?
Nel complesso, comunque, resta un disco più che godibile. Un disco dalle 9,30 AM.
Buona colazione.
Ah, occhio alla brioche!
Tracklist
01. Careful
02. And I Was A Boy From School
03. Colours
04. Over And Over
05. (Just Like We) Breakdown
06. Tchaparian
07. Look After Me
08. The Warning
09. Arrest Yourself
10. So Glad To See You
11. No Fit State
12. Won't Wash
Come rimediare, quindi? Come attutire l'impatto con siffatta aurea negativa?
Semplice: ascoltando "The Warning" degli Hot Chip.
Quello di cui scrivo è un disco decisamente mattutino perché non impegnativo (nonostante qualche velo di malinconia) e piuttosto "di atmosfera" (nonostante qualche pezzo moderatamente tamarro). Si tratta di musica elettronica piuttosto pop; ascoltandoli si ha come l'impressione di aver trovato il punto d'incontro tra i Notwist e i Kings of Convenience, con qualche spruzzata di una qualunque (nonché presunta) "indie band" che va di moda su Mtv. L'atmosfera festaiola si amalgama con quella più intimistica senza stonare, senza esagerazioni.
Qualche nota a sfavore, tuttavia, ce l'ho.
Sulla prima traccia, il bridge che media tra le strofe, ricorda fin troppo sfacciatamente l'intro di Born Slippy degli Underworld, ed io non l'ho colto come una semplice citazione, però devo dire che, nel contesto, ci sta.
La seconda traccia fa eco al campionamento di quel famoso pezzo, Music sounds better with you degli Sturdust, ve lo ricordate?
L'intro della sesta traccia, invece - e qua probabilmente sfioro la paranoia -, richiama la parte finale della bellissima I want you (ascoltate dal minuto 6:50) della bellissima Erykah Badu. Ma forse esagero. Sono un complottista, che ci volete fare?
Nel complesso, comunque, resta un disco più che godibile. Un disco dalle 9,30 AM.
Buona colazione.
Ah, occhio alla brioche!
Tracklist
01. Careful
02. And I Was A Boy From School
03. Colours
04. Over And Over
05. (Just Like We) Breakdown
06. Tchaparian
07. Look After Me
08. The Warning
09. Arrest Yourself
10. So Glad To See You
11. No Fit State
12. Won't Wash
venerdì 11 giugno 2010
The Casualties - On the Front Line (2004)
Ancora un ripescaggio dalla produzione pro-Audiolesi. Questa volta è il turno di una sentita critica al manierismo hardcore di bassa lega.
Partiamo da un presupposto: tutti i miei gusti musicali sono nati dall'hardcore punk, quello politicizzato, assolutamente aggressivo e spesso lo-fi.
Detto ciò vi presento un disco per la serie "Bella Cacata". Di chi sto per parlare? Dei Casualties, ovviamente!
I Casualties, che tanto piacciono a quei punkettoni sfegatati dell'ultima ora, quelli che al di sotto dei 140 bpm credono esista solo l'oblio, sono una band newyorkese che suona streetpunk... cioè, così si dice da ormai vent'anni.
Quello che sento io è un hardcore rockandrolleggiante trito e ritrito a cui non solo non si aggiunge nulla di nuovo, ma neppure gli si toglie niente. Io non riesco proprio a spiegarmi come facciano a piacere. La loro unica mossa è stata quella di prendere le sonorità dell'hc ottantone, legarlo alle melodie più tipiche dei '90 e commercializzarlo, pubblicizzarlo, svenderlo.
On the Front Line è un album del 2004, si dice tra i meglio riusciti... pensa te! I testi sono quelli canonici: "fanculo Stato, la guerra è una merda, ribelliamoci, evviva l'anarchia". Cioè, ragazzi, voi volete imporvi così senza un briciolo di individualità e ok, può anche andarmi bene. Però magari cercate anche di motivare quei motti del cazzo ché ormai dopo trent'anni c'hanno triturato i coglioni. Musicalmente, invece, ricordate il Self Titled che i Rancid rilasciarono nel 2000? Ecco, scarnificatelo dall'abilità tecnica e unitelo all'attitudine degli Exploited (altra band su cui ci sarebbe molto da ridire), ma non quelli migliori di Let's Start a War, facciamo di quelli più tendenti alla mediocrità come in Troops of Tomorrow. Bene, così ci siamo! Questo è On the Front Line dei Casualties.
In breve: mentre un motto ragionato racchiude un pensiero ben più articolato, un motto alla Casualties racchiude il concetto secondo cui "vi piscio addosso perché sono punk e c'ho le borchie". Imparate l'umiltà, per dio! Imparate dai Minor Threath, dai Dead Kennedys, dai Vegan Reich.
A tutti gli amanti di questo gruppo voglio ricordare che l'hardcore non è tutto cresta, spillette, chiodo e borchie.
L'hardcore è un ideale vastissimo che pochi gruppi hanno interpretato appieno, è contenuto, solidarietà, rabbia comportata, reazione e ricerca di soluzioni. I Casualties, invece, sono ciò che rimane dell'hc quando l'hai spogliato dalle sue peculiarità.
Tracklist
1. Casualties Army
2. On The Front Line
3. Leaders Of Todays
4. Criminal Class
5. Tomorrow Belongs To Us
6. Unknown Soldier
7. Scarred For Life
8. Static Feedback And Noise
9. Media Control
10. Death Toll
11. Tragedy
12. Brainwashed
13. Sounds From The Streets
14. We Don't Need You
Partiamo da un presupposto: tutti i miei gusti musicali sono nati dall'hardcore punk, quello politicizzato, assolutamente aggressivo e spesso lo-fi.
Detto ciò vi presento un disco per la serie "Bella Cacata". Di chi sto per parlare? Dei Casualties, ovviamente!
I Casualties, che tanto piacciono a quei punkettoni sfegatati dell'ultima ora, quelli che al di sotto dei 140 bpm credono esista solo l'oblio, sono una band newyorkese che suona streetpunk... cioè, così si dice da ormai vent'anni.
Quello che sento io è un hardcore rockandrolleggiante trito e ritrito a cui non solo non si aggiunge nulla di nuovo, ma neppure gli si toglie niente. Io non riesco proprio a spiegarmi come facciano a piacere. La loro unica mossa è stata quella di prendere le sonorità dell'hc ottantone, legarlo alle melodie più tipiche dei '90 e commercializzarlo, pubblicizzarlo, svenderlo.
On the Front Line è un album del 2004, si dice tra i meglio riusciti... pensa te! I testi sono quelli canonici: "fanculo Stato, la guerra è una merda, ribelliamoci, evviva l'anarchia". Cioè, ragazzi, voi volete imporvi così senza un briciolo di individualità e ok, può anche andarmi bene. Però magari cercate anche di motivare quei motti del cazzo ché ormai dopo trent'anni c'hanno triturato i coglioni. Musicalmente, invece, ricordate il Self Titled che i Rancid rilasciarono nel 2000? Ecco, scarnificatelo dall'abilità tecnica e unitelo all'attitudine degli Exploited (altra band su cui ci sarebbe molto da ridire), ma non quelli migliori di Let's Start a War, facciamo di quelli più tendenti alla mediocrità come in Troops of Tomorrow. Bene, così ci siamo! Questo è On the Front Line dei Casualties.
In breve: mentre un motto ragionato racchiude un pensiero ben più articolato, un motto alla Casualties racchiude il concetto secondo cui "vi piscio addosso perché sono punk e c'ho le borchie". Imparate l'umiltà, per dio! Imparate dai Minor Threath, dai Dead Kennedys, dai Vegan Reich.
A tutti gli amanti di questo gruppo voglio ricordare che l'hardcore non è tutto cresta, spillette, chiodo e borchie.
L'hardcore è un ideale vastissimo che pochi gruppi hanno interpretato appieno, è contenuto, solidarietà, rabbia comportata, reazione e ricerca di soluzioni. I Casualties, invece, sono ciò che rimane dell'hc quando l'hai spogliato dalle sue peculiarità.
Tracklist
1. Casualties Army
2. On The Front Line
3. Leaders Of Todays
4. Criminal Class
5. Tomorrow Belongs To Us
6. Unknown Soldier
7. Scarred For Life
8. Static Feedback And Noise
9. Media Control
10. Death Toll
11. Tragedy
12. Brainwashed
13. Sounds From The Streets
14. We Don't Need You
mercoledì 9 giugno 2010
Current 93 - Lucifer Over London (1994)
Secondo appuntamento con una recensione pescata a caso tra quelle già pubblicate per l'Audiopost@.
Oggi si parla di musica esoterica o apocalyptic folk, che dir si voglia.
Scrivere dei Current 93 non è affatto cosa semplice perché, come voi crowleyani certamente saprete, l'architetto del collettivo in questione, ossia David Tibet, porta con sé un bagaglio culturale che trasborda esoterismo e religioni da tutte le fessure. Ma mi farò io carico di questo peso, non perché me ne senta particolarmente capace, piuttosto perché nell'ultimo mese ci sto in fissa a mille.
Ora però cerchiamo di fare un po' di luce sulla questione.
La Corrente 93, da cui Tibet ha deliberatamente preso il nome, è la denominazione che Aleister Crowley dava alla sua dottrina, la quale fondeva satanismo, magia, massoneria, esoterismo, sesso rituale ed occultismo di vario genere. David Tibet, affascinato da tale dottrina, stende testi basati su tali temi occupandosi, a sua volta, di vita, morte e apocalisse (no, stavolta niente miracoli) richiamando di continuo il simbolismo occulto.
Anche dal punto di vista meramente musicale è un personaggio che s'è tenuto sempre attivo. In principio era industrial ("in principio era Pravda: Parola-Verità, Parola-Verità!"), ma si sa che le vie dell'industrial sono infinite; tant'è che presto arrivarono sintesi minimaliste dalla durata considerevole: a tal proposito voglio ricordare In Mestrual Night, un album composto da tre tracce dalla durata aliena di 52 e rotti minuti. Nel 1987, invece, lo stile folk ebbe il sopravvento stillando, forse, la vena più caratteristica ed originale del progetto che nel 1992 promulgò la propria pietra filosofale: Thunder Perfect Mind.
Quello che invece oggi è oggetto di recensione, fu inciso nel 1994 e, come fanno intendere le note di Paranoid dei Black Sabbath sull'intro del primo pezzo, è un disco più rockeggiante ed aggressivo.
Anche questo ep (e chiamiamola ep una registrazione che dura mezzora...!) è composto da una triade, tre fasi di un cambiamento profondo: l'alllontanamento dalla filosofia luciferina; lo smarrimento e l'avvilimento causato dall'assenza di punti di riferimento; l'approccio - forse in senso lato - al cristianesimo esoterico.
Oltre a lasciar trasparire, come già detto, una componente più aggressiva rispetto ai lavori precedenti, Lucifer Over London è anche una transizione particolarmente sofferta in cui vengono descritti scenari impressionanti e talvolta toccanti.
Tra pesci dorati e bambini in decomposizione dalla testa di cavallo, preparatevi ad un viaggio che cambierà il vostro modo di sentire.
Inchinatevi di fronte al genio malefico di David Tibet; amatelo o perite.
P.s. - Giusto in questi giorni ho letto che nell'ultimo album dei Current, David Tibet si è avvalso della collaborazione di un personaggio alquanto insolito, vale a dire Sasha Grey. Chi è Sasha Grey? Digitatene il nome su Google, capirete in fretta. Vi consiglio di visionare anche questo video.
Tracklist
1. Lucifer Over London Parts I & II (7:48)
2. Sad Go Round (5:46)
3. The Seven Seals Are Revealed At The End Of Time As Seven Bows: The Bloodbow, The Pissbow, The Painbow, The Faminebow, The Deathbow, The Angerbow, The Hohohobow (13:40)
Oggi si parla di musica esoterica o apocalyptic folk, che dir si voglia.
Scrivere dei Current 93 non è affatto cosa semplice perché, come voi crowleyani certamente saprete, l'architetto del collettivo in questione, ossia David Tibet, porta con sé un bagaglio culturale che trasborda esoterismo e religioni da tutte le fessure. Ma mi farò io carico di questo peso, non perché me ne senta particolarmente capace, piuttosto perché nell'ultimo mese ci sto in fissa a mille.
Ora però cerchiamo di fare un po' di luce sulla questione.
La Corrente 93, da cui Tibet ha deliberatamente preso il nome, è la denominazione che Aleister Crowley dava alla sua dottrina, la quale fondeva satanismo, magia, massoneria, esoterismo, sesso rituale ed occultismo di vario genere. David Tibet, affascinato da tale dottrina, stende testi basati su tali temi occupandosi, a sua volta, di vita, morte e apocalisse (no, stavolta niente miracoli) richiamando di continuo il simbolismo occulto.
Anche dal punto di vista meramente musicale è un personaggio che s'è tenuto sempre attivo. In principio era industrial ("in principio era Pravda: Parola-Verità, Parola-Verità!"), ma si sa che le vie dell'industrial sono infinite; tant'è che presto arrivarono sintesi minimaliste dalla durata considerevole: a tal proposito voglio ricordare In Mestrual Night, un album composto da tre tracce dalla durata aliena di 52 e rotti minuti. Nel 1987, invece, lo stile folk ebbe il sopravvento stillando, forse, la vena più caratteristica ed originale del progetto che nel 1992 promulgò la propria pietra filosofale: Thunder Perfect Mind.
Quello che invece oggi è oggetto di recensione, fu inciso nel 1994 e, come fanno intendere le note di Paranoid dei Black Sabbath sull'intro del primo pezzo, è un disco più rockeggiante ed aggressivo.
Anche questo ep (e chiamiamola ep una registrazione che dura mezzora...!) è composto da una triade, tre fasi di un cambiamento profondo: l'alllontanamento dalla filosofia luciferina; lo smarrimento e l'avvilimento causato dall'assenza di punti di riferimento; l'approccio - forse in senso lato - al cristianesimo esoterico.
Oltre a lasciar trasparire, come già detto, una componente più aggressiva rispetto ai lavori precedenti, Lucifer Over London è anche una transizione particolarmente sofferta in cui vengono descritti scenari impressionanti e talvolta toccanti.
Tra pesci dorati e bambini in decomposizione dalla testa di cavallo, preparatevi ad un viaggio che cambierà il vostro modo di sentire.
Inchinatevi di fronte al genio malefico di David Tibet; amatelo o perite.
P.s. - Giusto in questi giorni ho letto che nell'ultimo album dei Current, David Tibet si è avvalso della collaborazione di un personaggio alquanto insolito, vale a dire Sasha Grey. Chi è Sasha Grey? Digitatene il nome su Google, capirete in fretta. Vi consiglio di visionare anche questo video.
Tracklist
1. Lucifer Over London Parts I & II (7:48)
2. Sad Go Round (5:46)
3. The Seven Seals Are Revealed At The End Of Time As Seven Bows: The Bloodbow, The Pissbow, The Painbow, The Faminebow, The Deathbow, The Angerbow, The Hohohobow (13:40)
martedì 8 giugno 2010
Lovecraft e il danno a lui provocato per sfruttmento di luoghi comuni
Sono uno a cui i luoghi comuni e le frasi fatte hanno sempre suscitato un certo fastidio, soprattutto perché concernono la preclusione di verifiche soggettive ed indipendenti in beneficio di banali giudizi aprioristici. Di luoghi comuni potrei citarne a decine di dozzine, ma ce n'è uno solo che al momento voglio infrangere, vale a dire: "un libro non si giudica dalla copertina".
Per certi versi è vero, una copertina è scindibile dal valore del testo ivi contenuto ma, per quanto sia un'asserzione che su carta detiene una certa dignità, è proprio sullo stesso supporto (ora non più figurativo) che trova riscontro di scelte editoriali che possono compromettere il lavoro sinergico del rapporto copertina/testo.
Esempio di tale malfunzionamento è Tutti i romanzi e i racconti di Howard Phillips Lovecraft.
Il nome di Lovecraft suscita tensioni ataviche che si cristallizzano negli scenari da lui descritti su cui si muovono entità ancestrali capostipiti, precursori o, addirittura, creatori di tutte le specie biologiche presenti sulla terra; un iter fantascientifico che, con il pretesto della scoperta archeologica, accresce la conoscienza fino a stravolgere totalmente la concezione che ha l'uomo della sua natura determinando, così, un orrore puro che, se non provoca la morte, porta alla pazzia.
Ora mi domando: come può una copertina raffigurante un ritratto caricaturistico (quindi comico) dell'autore riproporre l'oscurità propria delle tematiche da egli affrontate? Di sicuro non sfruttando uno sfondo nero!
La Newton Compton è una casa editrice che pubblica scritti di qualità a prezzi contenuti (cosa che non si può dire di tutti), ma nonostante il già citato Tutti i romanzi e tutti i racconti sia offerto a poco meno di 25 euro - prezzo in verità invitante, dato che si tratta dell'intera bibliografia -, dopo averci rimuginato su a lungo, infine optai per Le montagne della follia della stessa casa editrice. La copertina era più adatta.
Gli altri testi di H. P. li comprerò con calma.
P.s. L'ideatore grafico della raccolta lovecraftiana meriterebbe quantomeno una denuncia.
Per certi versi è vero, una copertina è scindibile dal valore del testo ivi contenuto ma, per quanto sia un'asserzione che su carta detiene una certa dignità, è proprio sullo stesso supporto (ora non più figurativo) che trova riscontro di scelte editoriali che possono compromettere il lavoro sinergico del rapporto copertina/testo.
Esempio di tale malfunzionamento è Tutti i romanzi e i racconti di Howard Phillips Lovecraft.
Il nome di Lovecraft suscita tensioni ataviche che si cristallizzano negli scenari da lui descritti su cui si muovono entità ancestrali capostipiti, precursori o, addirittura, creatori di tutte le specie biologiche presenti sulla terra; un iter fantascientifico che, con il pretesto della scoperta archeologica, accresce la conoscienza fino a stravolgere totalmente la concezione che ha l'uomo della sua natura determinando, così, un orrore puro che, se non provoca la morte, porta alla pazzia.
Ora mi domando: come può una copertina raffigurante un ritratto caricaturistico (quindi comico) dell'autore riproporre l'oscurità propria delle tematiche da egli affrontate? Di sicuro non sfruttando uno sfondo nero!
La Newton Compton è una casa editrice che pubblica scritti di qualità a prezzi contenuti (cosa che non si può dire di tutti), ma nonostante il già citato Tutti i romanzi e tutti i racconti sia offerto a poco meno di 25 euro - prezzo in verità invitante, dato che si tratta dell'intera bibliografia -, dopo averci rimuginato su a lungo, infine optai per Le montagne della follia della stessa casa editrice. La copertina era più adatta.
Gli altri testi di H. P. li comprerò con calma.
P.s. L'ideatore grafico della raccolta lovecraftiana meriterebbe quantomeno una denuncia.
lunedì 7 giugno 2010
Gorgoroth - Incipit Satan (2000)
Ho deciso di riproporre anche sul mio blog le recensioni che nei mesi scorsi ho scritto per Audiolesi (e conto ancora di scriverne di nuove); tra l'altro questa dei Gorgoroth Blogger l'ha anche eliminata... e va be'!
Continuo a cavalcare l'onda old-school black metal varata da xandreax citando in giudizio un'altra band norvegese legata al già segnalato Burzum: i Gorgoroth.
Il black metal, signori miei, è per il metal ciò che l'emo (nell'accezione più attuale del termine) è per l'hardcore, ossia il fratello sfigato che si rinnega perché ritenuto motivo di imbarazzo. Tuttavia, seppur mai mi troverete a recensire i My Chemical Romance, io tendo a prendere le difese di Caino. Non so se in realtà esiste attrito tra il metallaro medio e il black metal, ma le differenze ci sono eccome; mentre il metallaro vanta virtuosismi a go-go e/o velocità fantascientifiche, il metallaro nero non tiene affatto conto della tecnica affinché ne giova il contenuto e anche se suona sedicesimi non offre mai un senso di reale dinamicità. Inoltre il metallaro nero per supportare coerentemente tali tesi le avvalora di un sound prevalentemente rough, quindi, più che ai suoi capostipiti heavy, per attitudine è affine alla concezione dei punks '77.
Considerato il contesto, bisogna ammettere che i Gorgoroth sono un vero e proprio baluardo di questa sorta di movimento. I testi della band non sono mai stati resi pubblici perché gli autori ritengono che il messaggio debba arrivare esclusivamente a chi è pronto ad accoglierlo, quindi da un punto di vista ontologico possono essere considerati dei puristi/fondamentalisti (negli anni '90 l'ex cantante Gaahl - gay, vegetariano, pittore, torturatore freelance - fu anche coinvolto nel caso delle chiese cattoliche incendiate per dolo); dal punto di vista pragmatico, invece, hanno inserito, sia pure timidamente, delle "nuove" influenze derivate dal noise e l'industrial che spiccano in intervalli più che nell'amalgama della composizione.
Per quanto non sia di certo uno dei miei gruppi preferiti, devo ammettere però che Incipit Satan (l'unico loro album che ho ascoltato) me lo concedo volentieri, soprattutto quando non riesco a prendere sonno. Metto le cuffie, mi faccio qualche risata ascoltando gli arrangiamenti incredibilmente divertenti (vedi anche: goffi) e la batteria spesso insicura, e alla quarta o quinta canzone sto già dormendo.
Sulle tracce non ci sono molte cose da annotare - sentito un pezzo black metal, li hai sentiti quasi tutti, fatta eccezione per i progressisti - se non alcune particolarità. Ho trovato molto gradevoli i suddetti intermezzi ambient degni di un film horror (talvolta conditi con consueti versi rovesciati) e soprattutto l'ultimo pezzo, "When love rages wild in my heart", una proposta davvero insolita con una voce che ricorda a tratti la profondità vocale di Ian Curtis, per quanto la canzone pecchi del solito impaccio compositivo. E anche se sollecitano più sorrisi che ansie, senza alcun dubbio a loro spetta il Premio Simpatia.
Tracklist:
1. Incipit Satan 04:33
2. A World to Win 03:43
3. Litani til Satan 04:33
4. Unchain My Heart!!! 04:47
5. An Excerpt of X 05:50
6. Ein Eim av Blod og Helvetesild 03:09
7. Will to Power 04:28
8. When Love Rages Wild in My Heart 05:43
Continuo a cavalcare l'onda old-school black metal varata da xandreax citando in giudizio un'altra band norvegese legata al già segnalato Burzum: i Gorgoroth.
Il black metal, signori miei, è per il metal ciò che l'emo (nell'accezione più attuale del termine) è per l'hardcore, ossia il fratello sfigato che si rinnega perché ritenuto motivo di imbarazzo. Tuttavia, seppur mai mi troverete a recensire i My Chemical Romance, io tendo a prendere le difese di Caino. Non so se in realtà esiste attrito tra il metallaro medio e il black metal, ma le differenze ci sono eccome; mentre il metallaro vanta virtuosismi a go-go e/o velocità fantascientifiche, il metallaro nero non tiene affatto conto della tecnica affinché ne giova il contenuto e anche se suona sedicesimi non offre mai un senso di reale dinamicità. Inoltre il metallaro nero per supportare coerentemente tali tesi le avvalora di un sound prevalentemente rough, quindi, più che ai suoi capostipiti heavy, per attitudine è affine alla concezione dei punks '77.
Considerato il contesto, bisogna ammettere che i Gorgoroth sono un vero e proprio baluardo di questa sorta di movimento. I testi della band non sono mai stati resi pubblici perché gli autori ritengono che il messaggio debba arrivare esclusivamente a chi è pronto ad accoglierlo, quindi da un punto di vista ontologico possono essere considerati dei puristi/fondamentalisti (negli anni '90 l'ex cantante Gaahl - gay, vegetariano, pittore, torturatore freelance - fu anche coinvolto nel caso delle chiese cattoliche incendiate per dolo); dal punto di vista pragmatico, invece, hanno inserito, sia pure timidamente, delle "nuove" influenze derivate dal noise e l'industrial che spiccano in intervalli più che nell'amalgama della composizione.
Per quanto non sia di certo uno dei miei gruppi preferiti, devo ammettere però che Incipit Satan (l'unico loro album che ho ascoltato) me lo concedo volentieri, soprattutto quando non riesco a prendere sonno. Metto le cuffie, mi faccio qualche risata ascoltando gli arrangiamenti incredibilmente divertenti (vedi anche: goffi) e la batteria spesso insicura, e alla quarta o quinta canzone sto già dormendo.
Sulle tracce non ci sono molte cose da annotare - sentito un pezzo black metal, li hai sentiti quasi tutti, fatta eccezione per i progressisti - se non alcune particolarità. Ho trovato molto gradevoli i suddetti intermezzi ambient degni di un film horror (talvolta conditi con consueti versi rovesciati) e soprattutto l'ultimo pezzo, "When love rages wild in my heart", una proposta davvero insolita con una voce che ricorda a tratti la profondità vocale di Ian Curtis, per quanto la canzone pecchi del solito impaccio compositivo. E anche se sollecitano più sorrisi che ansie, senza alcun dubbio a loro spetta il Premio Simpatia.
Tracklist:
1. Incipit Satan 04:33
2. A World to Win 03:43
3. Litani til Satan 04:33
4. Unchain My Heart!!! 04:47
5. An Excerpt of X 05:50
6. Ein Eim av Blod og Helvetesild 03:09
7. Will to Power 04:28
8. When Love Rages Wild in My Heart 05:43
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