Groucho Marx
Dimostra sin da principio le sue intenzioni, Sofia. Una Ferrari trasporta il suo guidatore su un percorso anulare per molti giri, più di quanti lo spettatore ne voglia vedere, ed il tutto viene registrato da un'angolazione statica, come morta, anzi inanimata, forse parola-chiave, come quella di un sasso. Devo ammettere che poche volte mi sono annoiato in maniera quasi nevrotica ed ho cominciato a consultare l'ora dopo soli dieci minuti dall'inizio della pellicola (ma probabilmente qui c'entrano anche particolari stati d'animo personali), il che alla fine della proiezione mi ha portato a desumere che fosse «uno dei film più merdosi che abbia mai visto». A Sofia Coppola, ai suoi film, in realtà ci sono affezionato e li ho sempre graditi, anche in frangenti particolarmente vuoti, e questo perché ammiro la sua capacità di armeggiare con la semplicità e l'innocenza – tant'è che se dovesse essere associata ad una tecnica pittorica, quella tecnica sarebbe il pastello.
In verità solo a distanza di molte ore, quando il pensiero si è ritrovato faccia a faccia col telo neuronale del cinema, un senso si è reso leggibile. Potrei quasi affermare che Somewhere è un film che piace (o potrebbe piacere) a posteriori, dopo la fine; è l'estremizzazione, la scrematura, il risultato oltranzista tratto dalla struttura dei suoi precedenti lavori (Lost in traslation in particolare, ma anche Marie Antoinette – a riguardo, si veda questo parere, anche se poco si sposa con le considerazioni qui indicate), e in questo caso abbandona totalmente i decori della trama – ad eccezione dell'inserimento puramente decorativo, appunto, pressoché casuale di un paio di videoclip musicali – ponendoci di fronte ad una realtà talmente «nuda et cruda» e scarna che potrebbe essere rilevata come una qualunque esistenza del mondo reale, in cui la celluloide non è che un lavoro, e in fondo, a dispetto della remunerazione che consente la concessione di vari lussi, neppure granché gratificante.
È un pezzetto irrilevante della vita di Johnny Marco, quello a cui Sofia ci inchioda senza prometterci “intrattenimento” (anzi!), famoso attore hollywoodiano che conduce una vita quasi disegnata sull'asserzione «i soldi non fanno [dubbio dell'autore, o «danno»?] la felicità»: divorziato, milionario (ovviamente in $), guida una Ferrari che odierete da subito, e nei suoi confronti non c'è donna che non si offra carnalmente (ad avallare che è un uomo che non deve chiedere... mai! [cit.]) perché succube del fascino dei belli e famosi (e Ferrari).
Come anticipato, non c'è una trama dominante, si potrebbe quasi definire un film “orizzontale” in quanto non ci sono eventi di particolare rilievo, ma solo le piccole occupazioni quotidiane; proprio queste occupazioni descrivono il personaggio, la sua inerzia, la fragilità emotiva suffragata dalla falsità dei suoi collaboratori (si noti i complimenti sul «bell'aspetto» che gli vengono rivolti quando questo non è attribuibile ad aggettivi positivi). È proprio quest'iniziale assenza della componente idilliaca tipica di Sofia che inizialmente lascia spaesati i suoi aficionados, quando la donna è rappresentata in vesti provocanti, succinte, quasi volgari, “venduta” a chi magari può garantirle un tenore di vita invidiabile mediante una supposta spintarella. Chi ridimensionerà in maniera speculare ed antitetica il quadro generale sarà Cleo, l'adolescente figlia del protagonista, che con la sua innocenza occuperà le ore dell'attore rompendo la routine a cui egli si era abbandonato fino a non ottenere piacere persino dal sesso (si veda la scena in cui si addormenta un attimo prima di dedicarsi ad un cunnilingus).
Per l'aspetto tecnico si può sottolineare una fotografia diametralmente opposta al precedente Marie Antoinette, il gusto si allontana dai colori chiari velati e vitali e viene sostituito da tendenze vintage, se non amatoriali. La regia è sostanzialmente piatta, probabilmente per una sinergia metodista volta ad una finale coerenza di intenti.
Non ho molto gradito il breve scambio avvenuto nell'ascensore tra Johnny e Benicio Del Toro, degno dei cosiddetti cinepanettoni. Non ho gradito soprattutto la presenza di Laura Chiatti, incapace addirittura di doppiare le due frasi assegnatele, ma tant'è.
In definitiva, anche se dopo un'iniziale raccapriccio l'ho rivalutato comprendendo, forse, le intenzioni affatto scialbe, il risultato è mediocre e poco incisivo. Non è certo un film che sarà molto citato in futuro ma, a giudicare anche dai commenti dei miei sconosciuti vicini di poltrona, se siete maschi, o comunque vi piace il sesso debole, e volete vedere un po' di fica senza tante storie di troppo e senza scadere nel brutale porno (quindi approfittate e proponetelo alle vostre fidanzatine!), questo film potrebbe fare al caso vostro. Dosi e sostanze consigliate per l'assunzione: uno virgola cinque litri di caffè.
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