Prima di bruciare vivo il geniale e profondo Vanini, gli strapparono la lingua, perché egli, con essa, aveva bestemmiato Dio. Confesso che, quando leggo simili cose, mi vien voglia di bestemmiare questo Dio. Arthur Schopenhauer
domenica 13 marzo 2011
Parole d'altri #2 - Lenny Nero; Darren Aronofsky, Black swan (2010)
Film spettacolare, di quelli rari. Elegante, inquietante, particolarmente crudo a tratti. Per evitare perdite di tempo, ho scelto di ripubblicare una recensione di Lenny Nero che condivido in toto.
Aronofsky ha il pregio dell’originalità e del solipsismo, di inseguire progetti che ogni volta appaiono incuranti di critiche ed elogi, nonché della ricerca di un percorso personale facilmente etichettabile o di una cifra stilistica riconoscibile.
Ogni suo film è una sorpresa, anche se nonostante la sua rarefatta produzione comincia ad affacciarsi un tema ricorrente, quello della ricerca (psicopatologica) della perfezione, affrontato da prospettive inattese.
“Black swan” potrebbe essere descritto come la versione lisergica de “La pianista”, ambientato nel mondo della danza classica, una miscela virata al dark di un paradigma classico di nevrosi che non segue le orme gelide di Haneke, ma quelle del perturbante e dell’inconscio.
La trama è un gioco a carte scoperte, versione moderna della storia de “Il lago dei cigni”, con qualche rimembranza di “Eva contro Eva”, costruita in modo preciso e circolare, lasciando poco margine per colpi di scena; tuttavia il regista sceglie di disorientarci e imposta la pellicola come un sogno lucido, lasciando irrompere l’allucinazione nella realtà.
La commistione visiva angosciante che viene creata, la dialettica isterica dei protagonisti (la madre iperprotettiva, il luciferino coreografo che seduce, la disinibita compagna che libera pulsioni erotiche, lo specchio oscuro rappresentato da Winona Ryder in cui si riflette il rischio del proprio fallimento) e una sessualità esplicitamente rappresentata (molestie, lesbismo), trascinano lo spettatore in una spirale di tensione.
Il climax di ansia cresce gradualmente fino allo showdown, quando si resta appesi a una sensazione di tragedia imminente, a un filo teso tra il successo del cigno bianco e il prevalere del cigno nero, dopo sequenze di autolesionismo, violenza e mutazioni fisiche atte ad aumentare confusione e disagio, simboliche e leggibili, quanto di sicura efficacia e sgradevolezza.
“Black swan” è un percorso mentale, meno forzato ed ellittico di esempi analoghi, ed è in questo nucleo di costruzione razionale, all’interno di una cornice di follia, che risiede l’elemento (ironicamente) tragico che rende il film tanto prevedibile da una parte, quanto collegabile a grandiosi esempi di dramma e cinismo quali il già citato “Eva contro Eva” o “Viale del tramonto”.
Una nota aggiuntiva è doverosa per il cast, perfetto nei classici ruoli di contorno (Barbara Hershey, sempre a un passo dall’esplodere in grida; Vincent Cassel, quasi insuperabile nella sua torva sensualità; Mila Kunis, premiata al Festival di Venezia; l’autodistruttiva Winona Ryder), su cui svetta la complessa e camaleontica interpretazione di Natalie Portman, innocente, quanto mostruosa.
La colonna sonora è del fidato Clint Mansell, che si diverte a manipolare brani classici.
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