Circa cinque, se non sei anni fa, su un quaderno segnavo questo titolo con l'intenzione di acquistarlo in seguito. Non saprei dire quale fonte dell'epoca avesse ispirato la mia curiosità nei confronti di questo testo capeggiato da un titolo che, quantomeno mnemonicamente, richiama quelli usati dal fortunato-quanto-risibile Dan Brown; fatto sta che, poco tempo fa, avevo trovato il suddetto libro scontato del 65% su IBS, al che l'ho ordinato. Come dichiarato dalla prima di copertina (graficamente elaborata, presumo, come dimostrazione pratica di esempio da non emulare), intenzione dell'autore è quella di trattare e diffondere argomenti che, a suo dire, riferiscono “scoperte che sconfessano l'archeologia ufficiale”. Ed ecco che, già dall'introduzione, Bürgin adotta un linguaggio quasi messianico:
Dimenticate ciò che vi hanno insegnato a scuola. Rimuovete ciò che vi è stato inculcato. Rifuggite i libri di testo: la storia del nostro passato più remoto non è quella che vi hanno raccontato.
Nonostante le duecento e più pagine, che tradiscono per mezzo dell'uso di un carattere piuttosto grande e dell'inserimento di fotografie (oltretutto non Sempre eclatanti) dei reperti, il libro lo si scorre velocemente, scivolando verso la conclusione con una semplicità eccessiva nell'arco di poche ore; che il target sia costituito da adolescenti smaniosi, casalinghe annoiate o impiegati che necessitino di qualche brivido per poter affrontare dignitosamente la seguente settimana lavorativa? Seppure i reperti menzionati generalmente destano grande interesse anche solo empiricamente, senza voler scomodare ostinatamente la scienza, un'ondata di superficialità pervade le pagine del testo dall'inizio fino all'epilogo, trovando sfogo in una scrittura banale e didascalica, suppongo più per demerito dell'autore che per quello di Fabrizia Fossati, la traduttrice. Come già annunciato, il lettore non si annoia, ma già alla fine del primo capitolo si chiede (o perlomeno dovrebbe): tutto qua? Pagina dopo pagina cresce l'attesa di una rivelazione, una scoperta, un evento – sia esso pure un mattone caduto in testa al giornalista/scrittore – ma tutto viene mitigato da supposizioni che, pur essendo frutti di intuizioni altrui, non trovano né fonte né approfondimento; tutto è campato per aria, come se l'impressione più fantasiosa che è stata suscitata sia palese e non necessiti di riscontro scientifico. Un esempio definitivo è quello del diciassettesimo capitolo, Una rampa di lancio di cinquemila anni fa? Nella provincia cinese di Qinghai è stata ritrovata – chissà quando la prima volta, dato che Bürgin non ce lo riferisce – una strana struttura piramidale, sul Monte Baigong, alta 50-60 metri risalente, in base alle analisi effettuate, a cinquemila anni fa. Riporta Bürgin da un estratto della rivista Spiegel dell'8 luglio 2002: “presenta tre cavità con aperture triangolari e – a quanto pare – contiene tubi dipinti di rosso. Nei pressi sarebbero disseminati rottami arrugginiti in metallo, pietre e tubi dalla forma assai singolare, che penetrano nella montagna e in un vicino lago di acqua salata”. Segue poi uno sproloquio che no fa che ripetere i dati già riportati nella prima parte del capitolo fino ad affondare e scemare nel ritrovamento di piramidi cosparse sull'intero territorio cinese, e di ciò che lascia intendere dell'origine dell'idea che la prima struttura fosse una rampa di lancio non c'è esplicazione. Ma non è questa l'unica formula evasiva adottata dallo scrittore, che spesso scade in accuse e supposizioni degne del gossip di peggior stampo. Bensì la strategia preferita, e più volte ripetuta, è quella della stesura di argomenti riguardanti reperti che “presto” saranno analizzati e daranno risposta alle nostre domande. Un anticipare i tempi, quindi, affinché la conclusione debba mancare inevitabilmente, a prescindere dalla volontà o dallo studio di chi “al momento” ne scrive.
Bürgin, nel suo metodo, non conosce analisi e, pur proponendo argomenti affascinanti per loro stessa natura, riesce a privar loro di qualunque importanza. Più volte, infatti, accenna ad un presunto creazionismo, distante dalla concezione filo-cattolica pur ribadendo che l'uomo sia nato uomo, non scimmia; ma affiancando tale affermazione a nessun assunto, come ad esempio può essere quello sostenuto dagli antichi assiri, è inevitabile che il vigente darwinismo lo tacci di stupidità, anziché di follia. L'uomo che si è introdotto con toni messianici, come di consueto in tutti i dogmi, prontamente è caduto incespicando nei propri piedi.
In definitiva Archeologia Eretica, ad eccezione del quinto capitolo trattato con integrità, è un testo pervaso da futile fantasia che danneggia, anziché supportare, le tesi in quantità e qualità sempre maggiori che sembrano sostenere l'idea secondo cui la genesi e la storia dell'uomo sia differente dalla verità ufficiale. Idee che, se dovessero rivelarsi attendibili, non credo cambierebbero realmente la nostra quotidianità, ma che offrono continuamente spunti che alimentano la fantasia dei curiosi e che stuzzicano l'intelligenza di chi è gonfio della muffa che il mondo copiosamente offre.
Prima di bruciare vivo il geniale e profondo Vanini, gli strapparono la lingua, perché egli, con essa, aveva bestemmiato Dio. Confesso che, quando leggo simili cose, mi vien voglia di bestemmiare questo Dio. Arthur Schopenhauer
giovedì 8 luglio 2010
sabato 3 luglio 2010
in breve #7 - Gott ist tot
Tante inutili parole sono state pronunciate riguardo Nostradamus, ma il vero profeta è stato Nietzsche.
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